L’infelicità è una cosa seria.

Comincio a pensare che questo malessere sia una sorta di dipendenza che ormai mi sono creata, qualcosa di cui non posso più fare a meno nonostante il dolore forte che mi provoca. Questi crampi allo stomaco, la sensazione di vomitare, la difficoltà a mangiare, la mascella serrata e il volto tirato, il respiro sospeso, gli occhi pieni di lacrime, pronte ad uscire al primo battito di ciglia, costantemente a ritirarle indietro, la testa completamente altrove.

Sbagli e continui a farlo. Sai esattamente cosa dovresti e cosa non dovresti fare eppure fai il contrario. Sai esattamente cosa ti fa bene e cosa ti fa male eppure non segui la strada giusta.

È un tarlo che si insinua nel cervello e non ti da pace fino a che non segui QUELLA strada, quella dell’autodistruzione. È il panico più totale. La perdita della lucidità fino a che non fai che ti dice quella voce autodistruttiva, fino a che non tenti il tutto per tutto, fino a che non sei sfinita, fino a che non hai di nuovo azzerato il cronometro del dolore per un nuovo conto alla rovescia. Lo stato d’animo che non vorresti, sei tu che ti senti una nullità mentre gonfi l’ego altrui, tu che in altre cose invece sei così brillante.

Una storia che non va, che tu sai già non avere i presupposti diventa una tragedia greca: le notti insonni, il telefono sempre sotto mano e la delusione che cresce perché ti senti una somma di errori, di inizi incompiuti, di mancanze incolmabili, perché sei sempre tu la causa di tutto il tuo male, perché sei sempre tu quella sbagliata, perché non è possibile che anche stavolta non vada.

Io non riesco ad uscirne. La paura mi fa agire d’impulso e poi mi tiene stretta a lei, sospesa nell’attesa che l’ordine del cosmo si sovverta ma sai già che non sarà così.

E allora adesso ti senti davvero davvero stupida per aver scritto quel messaggio che avevi promesso a te stessa non avresti scritto. Sai che non arriverà la risposta, o che non arriverà la risposta che vuoi e ti senti un fallimento. Non c’è niente che va come vorresti, come dovrebbe, perché forse non te lo meriti.

Perché io non posso essere felice? Perché lo sono tutti e io no? 

Devo uscirne e non so come fare. Ho le chiavi di tutte le serrature e continuo a voler aprire quelle porte che dovrei chiudere, continuo ad annegare nei silenzi assordanti dei rifiuti che mi fanno solo sentire umiliata ed inutile. Sono ferma e giro in tondo. Non riesco ad uscire.

Carezze di sale.

Che nome dai a quella cosa che non riesci a dire ad alta voce ma che tu sai avere quel nome preciso? Perché le verità nascono dentro di te molto prima che tu le voglia ammettere, nonostante tu cerchi di nasconderle come polvere sotto al tappeto. È un attimo, è un sesto senso ma tu lo sai dal principio come andrà. È nel momento stesso in cui scatta quel meccanismo che tu sai cosa accadrà, che tu sai che non è lui, che non è la persona giusta, che sarà un’altra volta come ogni volta e che dovrai ricominciare da capo. Ma gli alibi si autoalimentano perché li sanno i tuoi punti deboli, perché iniziano ad insinuare i se ed i ma, a rendere le acque torbide col loro frastuono di mani che battono sulla cresta della superficie quando invece basterebbe solamente fermarsi un attimo per vedere il suo fondo cristallino. Perché la verità molto spesso è semplicemente quella che hai davanti agli occhi, anche se tu gli occhi li vuoi tenere chiusi, ci stringi forte i pugni davanti, la verità non si sposta di li, ha i piedi di balza, ci giri attorno, cerchi nuove angolazioni ma rimane salda nella sua schietta coerenza. Il contrario di quello che sei tu, coerente.

E quando capisci che il nome che gli avevi dato è proprio quello giusto, quello che non volevi sentire, vorresti solo che quel silenzio durasse e restasse imperturbato, come quando fissi il sole e hai male agli occhi ma la luce scalda il cuore e le ferite si rimarginano.

Carezze di sale. Meglio leccarle da sola le mie ferite. 

Eppure vorrei bastasse lavarmi il viso e ricominciare senza segno. E invece ogni volta lo senti che gratta e ti viene a cercare, e tu vorresti urlare per riprendere il respiro mentre ti tremano le mani e lo cacci via quell’alibi perché ormai lo sai che è solo una bugia. Ma non urli e inspiri. Respiri fra le mani, fai tornare l’ossigeno alle labbra e al cuore che batte pazzo, ma si calmerà, si è sempre calmato alla fine. Ed il sangue tornerà a fluire regolare.

Passeranno anche le cose che non lasciano il segno.

Passeranno anche le cose senza nome.

Passerà anche il tuo di nome e sarà ancora un nuovi inizio.